Chico Buarque de Holanda – Discorso nel ricevere il Premio Camões 2019*

Nel ricevere questo premio penso a mio padre, lo storico e sociologo Sergio Buarque de Holanda, dal quale ho ereditato alcuni libri e l’amore per la lingua portoghese. Ricordo con quanta frequenza interrompevo i suoi studi per fagli vedere i  miei scritti giovanili che lui giudicava senza compiacenze ma senza eccessiva durezza, per poi raccomandarmi letture che avrebbero potuto aiutarmi in un’eventuale carriera letteraria.

In seguito, quando mi inclinai verso la musica popolare, non si infastidì, anzi, perché gli piaceva la samba, suonava un poco il piano ed era intimo  amico di Vinicius de Moraes, per il quale la parola cantata era magari semplicemente un modo più sensuale di parlare la nostra lingua. Immagino mio padre sul punto di scoppiare a piangere nel vedermi qui, anche se, se ci potessimo incontrare in questa sala, io starei in mezzo al pubblico e lui qui, al mio posto, per ricevere il Premio Camões molto più giustamente. Mio padre ha contribuito anche alla mia formazione politica, lui che durante la dittatura del Estado Novo aveva militato nella Sinistra Democratica, il futuro Partito Socialista Brasiliano. Alla fine degli anni 60, si era ritirato dalla Facoltà di Filosofia, Scienze e Lettere dell’Università di San Paolo per solidarietà verso i colleghi espulsi dalla dittatura militare. Verso la fine della sua vita aveva partecipato alla fondazione del Partito dei Lavoratori (PT) senza riuscire a vedere la restaurazione della democrazia nel nostro paese e ancor meno capire che un giorno saremmo caduti in una baratro più profondo per molti aspetti.

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José Blanco – La battaglia per il futuro*

Durante la sua visita in Cina, Lula se l’è presa con il predominio internazionale del dollaro e ha fatto un appello al gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) per promuovere l’uso delle proprie monete nazionali nel commercio internazionale e per liberarsi dalla soggezione alle istituzioni finanziarie come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM), formulando alcune domande retoriche: Perché non possiamo commerciare con le nostre monete? Chi ha deciso che dovesse essere il dollaro?

Lula conosce la storia di Bretton Woods del 1944, la concordata istituzionalizzazione del modello americano oro-dollaro al mondo, per gli USA, con il FMI e il BM come enti guida regolatori, insieme all’Accordo Generale su Dazi Doganali e Commercio (GATT): un ordine economico internazionale imposto dall’imperialismo yankee a beneficio suo e dell’Europa e del Giappone in secondo ordine.

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José Steinsleger – Il Nicaragua e le mosche bianche della democrazia

Uno. Dopo un breve intervallo per motivi di salute, torno su questo spazio in uno dei pochi media cartacei che ottempera al dovere-essere del giornalismo responsabile: il diritto all’informazione contestualizzata, dando voce a tutte le voci tutte.

Due. Durante la mia convalescenza a stento ho guardato le notizie. E credo di aver preso, a un certo punto, la pillola sbagliata: invece della rivoluzione ho cominciato a sognare Giove, quel grande nobile dell’Olimpo che manipolava e affrontava i popoli, facendogli credere di non prendere partito.

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Juan Ibarra – Susana Barca contro il governo di Dina Boluarte*

Susana Barca, oltre ad essere una famosa cantante afroperuviana, è stata la responsabile per la cultura del Perù e del continente americano nell’ Organizzazione degli Stati Americani (OEA), un’organizzazione molto chiaramente orientata all’obbedienza al Washington Consensus, e notoriamente orientata a destra. Recentemente ha pubblicato una dichiarazione sulle sue reti sociali riguardo ai recenti avvenimenti politici operati dalla destra nel suo paese:

“A lei, esponente della destra politica, mi rivolgo adesso. A lei che dalla sala del Congresso ha violentato il mio paese, ignorandone la volontà espressa nelle urne di una democrazia che sarebbe democrazia solo se servisse a lei. Mi rivolgo a lei che ha generato la sfiducia e ora vuole imporre per forza uno Stato estraneo a un popolo che reclama un’altra forma di giustizia e di vita.”

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José Carlos Agüero – Perù,un collasso sociale

Lo scrittore peruviano José Carlos Aguero*, intervistato da Enrique Patriau per “La República” il 21.12.22, analizza la situazione drammatica creatasi nel suo paese dopo l’arresto di Pedro Castillo: non si tratta dell’ennesima crisi politica, ma di un collasso sociale.

Come spiegare tutta questa violenza? Ci sono cose che stanno lì da tempo e che non abbiamo voluto prendere sul serio. C’è stato un conflitto armato interno, poi una dittatura, un processo di antipolitica, una pandemia che ha distrutto quel poco che restava del tessuto sociale. Così io intendo la diagnosi del paese. La gente, in generale, dice che ci troviamo in una crisi politica che porta ad un’altra e a un’altra ancora, ma per me questa qui è un’altra cosa: è un collasso sociale, cioè quando tutto sparisce, quando il tessuto sociale si sfilaccia, quando le istituzioni non lo sono più.

Quando tutto questo accade non solo è difficile esercitare il governo ma anche la stessa convivenza. Il collasso sociale non genera una crisi politica normale, ma qualcosa che sarà molto difficile superare. In realtà la crisi si è già verificata e il paese ha collassato. Ora stiamo vivendo gli effetti di questa crisi. Come si esprimono in questo collasso le domande della gente che è stata troppo denigrata? Non parliamo di Pedro Castillo come personaggio reale, che sappiamo bene chi sia: un personaggio politico tradizionale minore, per dirlo in modo elegante. E devo aggiungere che è antidemocratico e golpista.

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José Lezama Lima* – Suprema prova di Salvador Allende

Nel 1978, cinque anni dopo il golpe di Pinochet in Chile, per la via poetica, il grande poeta, saggista e romanziere cubano José Lezama Lima intuisce –sa- che la morte di Allende è semina e che fruttificherà.

«La delicatezza di Salvador Allende ne farà sempre un archetipo di vittoria americana. Con questa delicatezza arrivò alla polis come un trionfatore, e con lei seppe morire. Questo nobile tipo umano cercava la poesia, sa della sua presenza dalla gravità della sua assenza e della sua assenza da una maggiore sottigliezza delle due densità che come bilance circondano l’uomo. Fece sempre grande attenzione, nel rischio del potere, a non irritare, a non sconcertare, a non scrollare. E siccome aveva queste attenzioni che rivelavano la fermezza della sua dignità, non poté essere sorpreso. Assunse la rettitudine del suo destino, dalla sua prima vocazione fino all’arrivo della morte. La parabola della sua vita si fece evidente e di una chiarezza adamantina, risvegliare una nuova gioia nella città e mostrare che la morte è la grande definizione della persona, quella che completa, come pensavano i pitagorici. Essi credevano che finché un uomo non moriva, la totalità della persona non era compiuta. Colui che è entrato trionfante nella città può uscirne solo grazie all’evidenza del contorno tracciato dalla morte. Portava al suo fianco Neruda, che era colui che aveva le parole belle e irradianti per accompagnarlo nella sua morte, ma i due morivano nello stesso tempo. Che momento americano! L’eroe e il canto si occultavano momentaneamente, per riapparire di nuovo in un recuperato ciclo di creazione.

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Ariel Dorfman* – Un discorso di Allende per le nuove generazioni

Mezzo secolo fa, alla fine del 1972, una moltitudine di cileni occupava le strade di Santiago –io ero uno di loro- per appoggiare il presidente Allende che intraprendeva un viaggio all’estero in un momento cruciale per la nostra nazione. Il processo inedito che avevamo inaugurato, di avanzare verso il socialismo utilizzando mezzi democratici, era sotto assedio. Nel paese, un’opposizione conservatrice cilena fortemente armata e violenta sabotava il governo di sinistra mentre fuori erano in agguato avversari potenti: Nixon e la sua eminenza nera, Henry Kissinger; corporazioni multinazionali; istituzioni finanziarie internazionali e, ovviamente, la CIA.

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Alessandra Riccio – “La Rivoluzione è l’amore”

Félix Varela, sacerdote, scrittore, filosofo, politico, è stato il primo a teorizzare il patriottismo a Cuba, colonia della Spagna. Figlio di un militare spagnolo e di una cubana di Santiago ha studiato nel Seminario di San Carlos dove poi insegna filosofia e istalla il primo laboratorio di fisica e chimica. Insegnava in spagnolo invece che in latino. Difensore dei diritti dei popoli, fu eletto alle Seconde Cortes di Cadige (1821-23) nel 1822 per le province di Oltremare dove chiede l’indipendenza dell’Ispanoamerica. Fernando VII, torna al potere e lo condanna, lui si rifugia a NY dove continua a insegnare, soprattutto fisica. Muore in Florida nel 1853

Dal 1983 è aperta la causa per la sua canonizzazione. Nel 2012 è stato dichiarato Venerabile servo di Dio ma prosegue la lunga causa per dichiararlo santo.

Quando sono andata a Cuba per la prima volta, nel 1977 con una borsa di studio in letteratura, mi è capitato di fare un’esperienza fuori dall’ordinario e molto lontana dalla mia educazione fermamente laica. La devo ad un amico di Barcellona, Alfonso Carlos Comín, “cristiano en el Partido, comunista en la Iglesia”, arrivato all’Avana con lettere e notizie dal mio mondo lontano e, a quei tempi, di difficilissima comunicazione.

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Martín Granovsky – Lula, il Cristo resuscitato

Se la storia è nostra e la fanno i popoli, come ha detto Salvador Allende nel suo ultimo discorso prima di uccidersi, il Brasile ha appena spiegato cosa succede quando i popoli sintonizzano con un leader così loro come Lula: ritornano.

Una parte del popolo (non tutta, certo, perché Jair Bolsonaro ha ottenuto una gigantesca base di appoggio elettorale) è tornata sui suoi passi. Ha recuperato il passato. Ha smesso di satanizzare chi, come Lula, ha guidato uno dei processi più veloci e di massa per uscire dalla povertà della storia mondiale.

Sono state 36 milioni le persone che dal 2003, quando il Partito dei Lavoratori (PT) ha fatto il suo primo governo, hanno cominciato a mangiare tre volte al giorno o hanno avuto un lavoro, o hanno avuto per la prima volta l’elettricità e gli elettrodomestici, e hanno perfino comprato una casetta o hanno fatto le vacanze. E se una frangia significativa ha glorificato l’attaccabrighe che con grande efficacia gli ha inventato i capri espiatori per canalizzare il loro odio per la crisi economica e sociale –capri espiatori come Lula, il PT, i beneficiari della Bolsa Familias-, è stata più grande la proporzione che ne ha consacrato la sconfitta.

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Angel Guerra – Lula e la sfida brasiliana

Il ballottaggio per le elezioni in Brasile del 2 ottobre è forse il più importante e combattuto scontro elettorale della nostra America dall’elezione di Hugo Chávez nel 1998. Questa elezione rappresenta ben di più della decisione su chi governerà il gigante sudamericano nei prossimi 5 anni, il paese più vasto, più popolato e con l’economia più importante della nostra regione, all’ottavo posto nel mondo per il suo PIB. E non deciderà neanche chi reggerà il paese fra neoliberismo e antineoliberismo, infatti in Brasile la prima cosa in gioco è la difesa e la riconquista dei diritti democratici di base, già molto ridotti quelli sociali e del lavoro da Temer e Bolsonaro, che l’ex militare minaccia di trascinare insieme a quelli politici per accontentare gli imprenditori che lo appoggiano. In queste elezioni si tratta anche –e quanto!- di capire se si sferrerà il colpo mortale a quel che resta della foresta amazzonica, polmone d’ossigeno del pianeta, come è negli obbiettivi dei capitali degli agroindustriali soci di Bolsonaro. E’ anche un episodio chiave per la disputa per la nostra America fra le forze democratiche e progressiste che lottano per la sovranità nazionale, la multipolarità e la lotta contro la disuguaglianza e la fame e quelle che intendono consegnare tutto al mercato e al capitale finanziario.

Lula è stato abilitato a competere elettoralmente quando il Tribunale Supremo del Brasile lo ha assolto dalle false imputazioni formulate dal venale giudice Sergio Moro e dal suo compare, il pubblico ministero Deltan Dallkagnol. Ma ciò non ha potuto cancellare l’immagine di un corrotto comportamento governativo del lulismo nel governo, annidato in larghe fasce della popolazione a causa della straordinaria campagna di menzogne scatenata dai media egemonici brasiliani e internazionali. Visto l’avanzare politico del bolsonarismo, Lula ha dovuto creare una grande coalizione che include importanti settori del centrodestra che prima lo avversavano, ma anche i suoi tradizionali alleati del centrosinistra e i movimenti sociali più combattivi del Brasile come formula per assicurare una vittoria convincente di fronte alla grave minaccia antidemocratica del bolsonarismo.

Moro e Dallkagnol fanno parte del programma del Dipartimento di Stato per –con il pretesto di combattere la corruzione- introdurre nella nostra regione il lawfare contro i candidati o i funzionari difensori di proposte contrarie al neoliberalismo e favorevoli alle cause popolari al fine di liquidarli politicamente, una specie di morte civile. Il tutto in perfetta sincronizzazione con il lavoro di disinformazione e diffamazione della turbinosa rete di media egemonici e nuove strutture di reti digitali al servizio dell’impero. Il lawfare è stato applicato anche contro gli ex presidenti Manuel Zelaya, Fernando Lugo, Cristina Fernández, Rafael Correa, Evo Morales e vari loro seguaci. Inoltre è stato lo strumento usato per fare il colpo di stato contro Dilma Rousseff e per inabilitare Lula come candidato presidenziale quando risultava alla testa di tutti i sondaggi e in questo modo aprire la strada a Bolsonaro.

Sebbene l’irruzione di Bolsonaro nell’arena politica dopo decenni di grigio e corrottissimo impegno come deputato non dipende solo da questo, certamente ha soppresso il formidabile ostacolo che lo interponeva a Lula. Oggi sappiamo che due anni prima l’ex capitano aveva ricevuto il permesso dell’allora comandante in capo dell’esercito, generale Villas Boas a candidarsi alla presidenza. Risulta evidente che la crisi delle politiche neoliberali e il successo delle politiche progressiste e redistributive del Partito del Lavoro (PT) avevano estenuato l’egemonia dell’élite brasiliana che aveva bisogno di un personaggio esterno come Bolsonaro: una specie di lumpen della politica, appena appena alfabetizzato ma con un evidente carisma, vivacità e capacità di connettersi con grandi settori della società brasiliana caratterizzati da ignoranza, oscurantismo, fanatismo religioso, con i suoi rapporti con il crimine organizzato –come il caso dei famosi miliziani- o con i militari in pensione pieni di aspirazioni al potere e all’arricchimento. Circa seimila di costoro sono stati disseminata da Bolsonaro in tutta la Pubblica Amministrazione, un ulteriore problema con cui dovrà combattere Lula.

Lula continua a ingaggiare un’eroica lotta in questo secondo turno contro forze ed ostacoli molto difficili da vincere. Uno dei quali è come riuscirà a governare con un Congresso a maggioranza bolsonarista e di destra che ha addirittura i voti per applicare l’impeachement. La sua campagna elettorale è stata una tale inondazione di masse da far credere che lo portassero direttamente al Palacio de la Alborada. Benché dopo gli errori dei sondaggi al primo turno, i cinque punti che gli attribuiscono adesso suscitano dei dubbi. Ancora una volta preferisco affidarmi all’ottimismo della volontà piuttosto che al pessimismo della ragione.

(La pupila insomne, 20 ottobre 2022)

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